Io e la fotografia


Il primo ricordo di una macchina fotografica tra le mie mani è a casa di mia nonna forse a 4 anni. Mi hanno messo al collo una macchina fotografica di plastica, guardavi dentro e vedevi lo scorcio di una città (forse era Roma o forse era Venezia). Ogni volta che premevi il pulsante di scatto, cambiava foto. Affascinante!
E poi ricordo i Natali sempre a casa di mia nonna, con lo zio Lucio che faceva stare in posa tutti noi nipoti per la foto di rito. La posa era lunga, non capivo perché. L’ho capito solo trent’anni dopo che doveva controllare la luce, l’esposimetro, la messa a fuoco e che noi stessimo fermi.

Dopo aver scattato foto con macchinette usa e getta, un’estate del 95 ho fatto un lavoretto che mi ha permesso di guadagnare 500 mila lire che ho speso interamente dal fotografo del paese per comprarmi una Canon EOS 5000. Una macchina automatica, ma con lo zooom!
Una delle prime foto che ho fatto è stata in giardino ad una Barbie nuda ingabbiata. Mi sembrava un’idea geniale e credevo che avrei potuto averne altre e fare delle foto migliori. In realtà poi l’ho usata per scattare le foto delle vacanze e dei concerti come i Bluvertigo in mutande sul palco o il mio primo concerto di Carmen Consoli.

Raggiunta l’indipendenza economica mi sono lasciata affascinare da tutte le Lomography e dalle Polaroid e Instax. Acquisto macchine compulsivamente, partecipo alle community e faccio qualche mostra. Per me scattare non significava tecnicismo, ma gioco e memoria, aveva a che fare con me, con la mia necessità di rendere eterni i miei momenti, eterni e alterati.

È solo nel 2018 che, frequentando un corso per lo sviluppo di rullini in bianco e nero e stampa foto in camera oscura che decido di acquistare una macchina fotografica manuale. Riesco a vincere la mia prima asta e a portarmi a casa una Pentax MX.
Voglio essere padrona di quello che scatto, decidere le luci, i tempi di esposizione la messa a fuoco, lo sviluppo del rullino e la stampa della foto.
Ma più vado scatto e sviluppo e più capisco che non mi da soddisfazione la perfezione.

Mi lascio affascinare dall’alta risoluzione delle foto scattate con gli smartphone di ultima generazione. Capisco che dietro una bella foto c’è un lavoro di editing. Provo ad approcciarmi. Effettivamente sono belle foto. MA, non mi diverto.

Riprendo in mano quindi le mie vecchie foto. Le riguardo, penso a cosa c’era dietro allo scatto, a chi c’era. Sì, c’ero sempre io, ma cosa provavo? Perché ho scattato? E mi ricordo sempre tutto. Mi ricordo l’intento, mi ricordo cosa mi immaginavo sarebbe uscito, mi ricordo quando mi piaceva la foto appena l’ho avuta stampata tra le mani.

E ho iniziato a chiedermi: ma la vera fotografia è quella ad alta risoluzione, con un’attenzione al post editing, stampa maniacale? Sono solo quelle le foto che vengono guardate, ammirate?
Poi mi vengono in mente fotografi come Mario Giacomelli, legati alla loro prima macchina fotografica e amanti della sperimentazione, ma mi continua a restare il dubbio.
Cosa manca alle mie foto per poter essere guardate, per poter emozionare o comunicare a qualcuno che non sono io? E a qualcuno critico esperto?

Progetti fotografici mai realizzati:

  • Foto di cani col muso fuori dal cancello
  • Foto di mamme coi bimbi che al mattino aspettano in strada il pulmino dell’asilo